Resto al Sud 2.0 non finanzia spese di gestione

Resto al Sud 2.0 non finanzia le spese di gestione: perché è un limite concreto per le nuove imprese

Nel passaggio dalla versione precedente alla nuova misura, Resto al Sud 2.0 introduce una serie di novità che, almeno sulla carta, mirano a rafforzare la sostenibilità strutturale dei progetti finanziati. Tra queste spicca l’innalzamento della quota massima destinabile alle opere edili, che passa dal 30% al 50% del totale dell’investimento. È un cambiamento significativo, che riconosce l’impatto reale che l’adeguamento di una sede operativa, la ristrutturazione di un locale o la messa a norma di un laboratorio possono avere sulla nascita e sulla funzionalità iniziale di un’impresa. Tuttavia, questa apertura è accompagnata da una scelta che ha deluso molti operatori: Resto al Sud 2.0 non finanzia più spese di gestione.

Questa esclusione segna una frattura netta rispetto all’impostazione più flessibile che aveva caratterizzato la prima versione del bando. E proprio questa scelta, seppur giustificata da logiche di sostenibilità nel lungo periodo, rischia di creare uno squilibrio tra esigenze reali delle microimprese e vincoli di spesa imposti dal decreto. Chi oggi avvia un’attività in territori svantaggiati, infatti, non si scontra solo con l’esigenza di acquistare beni strumentali o ristrutturare locali, ma soprattutto con la pressione immediata dei costi di gestione ordinaria: affitti, utenze, assicurazioni, dipendenti, software gestionali e materie prime.

L’aumento del limite per le opere edili: un passo avanti che non basta

Sotto il profilo dell’investimento fisico, l’intervento è senza dubbio evolutivo. Portare al 50% la quota massima per le opere edili rappresenta un riconoscimento oggettivo delle dinamiche reali di avvio, soprattutto nei settori legati all’artigianato, alla manifattura o alla ristorazione, dove i locali spesso richiedono interventi strutturali rilevanti. In questo senso, Resto al Sud 2.0 dimostra maggiore aderenza ai fabbisogni infrastrutturali di chi vuole lanciare un’attività duratura.

Tuttavia, questo vantaggio rischia di essere parzialmente neutralizzato dal fatto che lo stesso bando non copre più alcuna spesa di esercizio. Questo significa che, pur potendo finanziare la ristrutturazione del locale, l’imprenditore non potrà contare su nessun sostegno per pagare l’affitto nei primi mesi di attività, né per coprire le bollette o gli approvvigionamenti essenziali. È un paradosso evidente: si favorisce la nascita di spazi adeguati ma si ignora il peso reale dei costi che quei locali generano una volta attivati.

Perché l’esclusione delle spese di gestione penalizza le attività nei primi 12 mesi

Il nodo centrale è che Resto al Sud 2.0 non finanzia spese di gestione, proprio nella fase in cui esse costituiscono la voce più critica per la sopravvivenza dell’attività. Le statistiche dicono che oltre il 40% delle microimprese non supera il primo anno di vita, e che le principali cause di chiusura precoce riguardano proprio l’insostenibilità del cash flow iniziale. In questo scenario, eliminare la possibilità di coprire affitti, energia, internet, compensi esterni, assicurazioni o costi di promozione, significa costringere l’imprenditore a cercare risorse alternative per tenere in piedi la propria struttura appena costituita.

Il risultato è che, a dispetto della buona qualità dei progetti e della coerenza tecnica degli investimenti, molte iniziative nate con Resto al Sud 2.0 rischiano di trovarsi in difficoltà già a pochi mesi dall’avvio, semplicemente perché mancano i fondi per pagare i costi fissi ricorrenti. Questo problema si acuisce soprattutto nei settori con margini bassi e nella fase di pre-fatturazione, quando il mercato non ha ancora iniziato a rispondere e i ricavi sono assenti o limitati. In assenza di un sostegno per le spese operative, il rischio di burnout finanziario diventa elevato.

Resto al Sud 2.0 non finanzia spese di gestione, ma le imprese ne hanno bisogno

Chi ha già affrontato la prima edizione della misura lo sa bene: nella precedente versione era possibile imputare, entro certi limiti, anche alcune spese di gestione, in particolare utenze, canoni e servizi di supporto funzionali all’avvio. Questa flessibilità rappresentava un fattore protettivo per le imprese più giovani e consentiva una partenza più morbida, capace di assorbire i primi mesi di incertezza. Oggi, questa possibilità è del tutto assente. Il nuovo impianto punta esclusivamente su investimenti materiali e servizi specialistici, lasciando fuori ogni elemento di supporto alla gestione ordinaria.

Il messaggio è chiaro: il legislatore vuole incentivare imprese strutturate, in grado di autosostenersi fin dal principio. Ma nella realtà, pochi soggetti sono in grado di garantire equilibrio finanziario sin dal primo trimestre, senza un minimo supporto per il circolante. L’esclusione delle spese di gestione, quindi, non rappresenta solo un limite contabile, ma una scelta di indirizzo politico che rischia di ridurre l’accesso alla misura proprio a chi ne avrebbe più bisogno: giovani senza capitale, attività a basso margine iniziale, servizi alla persona e microiniziative con cicli di incasso lunghi.

Conclusioni: una misura rafforzata ma meno flessibile

Resto al Sud 2.0 si presenta nel 2025 come una misura più robusta sul piano finanziario, più ambiziosa sul piano infrastrutturale, ma anche meno flessibile sul piano operativo. L’aumento del limite per le opere edili al 50% è un segnale positivo per chi ha bisogno di intervenire sugli spazi fisici, ma la mancata copertura delle spese di gestione rischia di spostare l’accesso alla misura verso soggetti più solidi o più autonomi sul piano economico, escludendo in parte chi non dispone di risorse immediate per affrontare i costi dei primi sei mesi.

Per i consulenti, ciò significa lavorare con ancora maggiore attenzione sulla sostenibilità a breve termine, ipotizzando fin dall’inizio forme di microfinanza, autofinanziamento personale o credito ponte, per coprire quelle spese che il bando oggi non riconosce. Per gli aspiranti imprenditori, invece, è fondamentale sapere che la qualità del progetto non basta, se non si è in grado di coprire da soli tutto ciò che l’incentivo lascia fuori. La partita si gioca quindi su due fronti: quello della progettualità e quello della resilienza finanziaria.

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