Negli ultimi mesi sempre più spesso mi capita di ricevere una domanda che suona più o meno così: “Ho letto che esce Resto al Sud 2.0, ma io ho trentotto anni e lavoro a tempo determinato… si potrebbe fare? Qual è la differenza rispetto alla misura classica?”
Domanda legittima, ed è arrivato il momento di fare chiarezza. Sì, perché dietro la sigla “2.0” non si nasconde semplicemente un aggiornamento cosmetico del vecchio incentivo, ma un impianto completamente diverso, pensato per finalità specifiche e per una platea ben delimitata. Quindi, sì, si potrebbe fare… ma dipende da chi sei, cosa vuoi fare e soprattutto da quale porta stai cercando di entrare.
Un quadro normativo in evoluzione
Partiamo da qui: Resto al Sud, nella sua versione originaria, nasce con il Decreto Mezzogiorno del 2017 e negli anni ha subito diverse modifiche, ampliamenti territoriali, correzioni. Oggi consente di finanziare nuove attività d’impresa e libere professioni a soggetti under 56 residenti nelle otto regioni del Sud, nei crateri sismici del Centro Italia e persino in alcune isole minori del Centro-Nord. Il suo meccanismo di base prevede un mix tra contributo a fondo perduto e finanziamento bancario agevolato, con possibilità di ottenere fino a 60.000 euro per singolo beneficiario (più un bonus finale aggiuntivo) e massimi cumulabili fino a 240.000 euro per le società. È uno strumento flessibile, aperto anche a persone già occupate (purché pronte a lasciare il lavoro) e con un orizzonte di età più ampio.
E poi arriva il 2.0. Ma per chi?
Nel maggio 2024, il cosiddetto Decreto Coesione introduce ufficialmente Resto al Sud 2.0, ed è qui che le differenze iniziano a farsi nette. Questo nuovo capitolo non sostituisce la misura originaria, ma si affianca ad essa con un obiettivo preciso: sostenere i giovani under 35 in condizioni di svantaggio, disoccupazione o marginalità sociale. Il 2.0 non è per tutti, ma per chi ha più bisogno: NEET, inoccupati, disoccupati di lungo periodo, percettori di politiche attive o ammortizzatori sociali. E soprattutto, è destinato a chi ha voglia di ripartire da zero, senza indebitarsi.
Qui entra in gioco l’elemento chiave della misura: è tutto a fondo perduto. Niente finanziamento da restituire, nessuna rata da pagare. La nuova struttura prevede un voucher iniziale fino a 50.000 euro (a seconda della natura innovativa o sostenibile dell’investimento) e un contributo a fondo perduto fino al 75% delle spese complessive, per progetti fino a un massimo di 200.000 euro. Questo significa che, a fronte di un piano d’impresa ben costruito, un giovane in possesso dei requisiti può ottenere un aiuto diretto e immediato, con un margine residuo da coprire in autonomia ma senza l’intervento delle banche.
Ma quindi, quale conviene?
La domanda che mi sento porre più spesso, dopo aver chiarito chi può accedere a cosa, è questa: qual è la misura migliore? E la risposta, come sempre in consulenza, è: dipende.
Se sei un professionista tra i 18 e i 55 anni, o magari un ex dipendente che vuole mettersi in proprio, la risposta è una sola: Resto al Sud tradizionale. Ti offre un impianto solido, con un fondo perduto importante e un prestito agevolato a tasso zero che, con la giusta pianificazione, può diventare un alleato potente per far decollare la tua impresa.
Se invece sei un giovane under 35, disoccupato o fuori dal circuito produttivo, e non hai garanzie per accedere al credito, allora il 2.0 è pensato per te. Ti dà capitale, ti dà formazione, ti accompagna. È una misura socialmente orientata, che mira non solo a creare imprese, ma a generare inclusione economica e dignità professionale.
Stessi territori, diverse traiettorie
Entrambe le misure coprono lo stesso perimetro geografico: Sud, aree del cratere sismico, isole minori. Entrambe prevedono l’apertura di partita IVA, sia in forma individuale che societaria. Entrambe richiedono un business plan ben costruito, un progetto coerente e sostenibile. Ma mentre Resto al Sud classico premia la progettualità imprenditoriale in senso stretto, il 2.0 seleziona prima la condizione sociale del beneficiario, e poi la fattibilità del progetto.
Un altro elemento distintivo è la presenza obbligatoria di percorsi formativi e di tutoraggio nella misura 2.0. Questo significa che chi partecipa sarà affiancato non solo finanziariamente, ma anche professionalmente. È un vantaggio concreto per chi parte da zero, ma anche un impegno aggiuntivo in termini di tempo e organizzazione.
E a che punto siamo con il 2.0?
Al momento in cui scrivo, Resto al Sud 2.0 non è ancora operativo. Il decreto attuativo è atteso, e fino alla sua pubblicazione nessuna domanda può essere presentata. Il mio consiglio, per chi rientra nei potenziali beneficiari, è di iniziare a lavorare sul progetto imprenditoriale sin da ora, così da farsi trovare pronti. Con l’assistenza di un consulente esperto, si può intanto impostare la struttura del piano, identificare le spese, definire il fabbisogno finanziario e simulare l’ammissibilità. Quando lo sportello sarà attivo, chi avrà fatto i compiti in anticipo sarà in vantaggio.
In conclusione
“Sì, si potrebbe fare”, ma solo se si parte dalla misura giusta. Il vero nodo è comprendere a quale traiettoria appartiene ciascun soggetto: sei un giovane da accompagnare o un imprenditore da potenziare? Sei un professionista che vuole rilanciarsi o un disoccupato che cerca riscatto? Una volta chiarita l’identità progettuale, la scelta tra Resto al Sud e Resto al Sud 2.0 diventa una questione di strategia, non di opportunità.
E come sempre, la differenza non la fa il bando, ma il progetto.