Resto al Sud vs Resto al Sud 2.0 è il confronto che determina struttura dell’investimento, quota di fondo perduto, fabbisogno di cofinanziamento e composizione del team. La prima misura copre il 100% con mix grant e prestito garantito entro il tetto di 200.000 euro complessivi, raggiungibile solo sommando i plafond dei soci; la seconda consente a un singolo proponente di puntare fino a 200.000 euro con contributo percentuale e residuo a carico proprio.
La regola da incidere in agenda è che nel 2.0 il voucher di avvio e il contributo a fondo perduto non sono compatibili, dunque serve una scelta strategica a monte. Il driver diventa l’età del proponente, la scalabilità del modello e la capacità di coprire la quota residua senza comprimere la liquidità, mantenendo la rotta verso un break-even credibile.
Resto al Sud vs Resto al Sud 2.0: platea, requisiti e differenze sostanziali
Resto al Sud ammette soggetti fino a 55 anni con residenza o trasferimento nel Mezzogiorno e nei territori agevolati, in forma individuale o societaria, includendo imprese e liberi professionisti. La copertura è al 100% ma costruita 50% fondo perduto e 50% finanziamento bancario garantito, con massimale di 60.000 euro per beneficiario e possibilità di arrivare a 200.000 euro solo sommando quattro soci, senza superare quel tetto. Ciò richiede una struttura di governance coerente e un cash flow in grado di sostenere la componente di loan, sebbene agevolata, con tempi e rientri compatibili con la stagionalità del settore e con la dimensione del capex programmato.
Nel 2.0 la platea si restringe ai 18–35 anni inattivi o disoccupati, con focus su microimprese, lavoro autonomo e attività professionali a forte contenuto digitale o green. Qui la logica di aiuto è percentuale: fino al 75% sotto i 120.000 euro e fino al 70% tra 120.000 e 200.000 euro, con possibilità per il singolo di spingersi al tetto massimo a patto di coprire la parte residua con mezzi propri o finanza di complemento. Il voucher di avvio fino a 40–50 mila euro è un’alternativa e non si cumula con il grant percentuale; il criterio di scelta ruota attorno alla composizione della spesa, alla velocità di go-to-market e alla capacità del proponente di sostenere in autonomia il cofinanziamento richiesto.
Massimali, percentuali e struttura finanziaria
Nel “classico” la struttura 50/50 consente la copertura integrale delle spese ammissibili entro i limiti per socio e con massimale complessivo a 200.000 euro, senza deroghe. Questa impostazione funziona bene quando il progetto è materiale, con asset tangibili e cicli di rientro prevedibili, e quando la compagine societaria può ripartire rischi e responsabilità gestionali. Il prestito garantito richiede disciplina di cassa, ma riduce l’esborso iniziale e permette di allineare i pagamenti alle tappe di avanzamento, valorizzando capacità contrattuale con fornitori e un calendario di collaudi coerente con l’erogazione.
Nel 2.0 il baricentro si sposta sulla massimizzazione del grant e sulla riduzione del debito in start-up. La percentuale fino al 75% o 70% comprime l’investimento personale, ma non lo azzera: su 200.000 euro restano 60.000 euro da coprire con equity, anticipi fornitore, leasing operativo o microcredito. È una leva potente per modelli digitali e professionali, dove la spesa iniziale è meno capital-intensive e il ROI dipende dalla rapidità di attivazione dei canali. Il voucher rimane un’alternativa tattica per setup rapidi e basati su servizi, ma l’impossibilità di cumulo impone un confronto numerico attento prima di scegliere la rotta.
Resto al Sud vs Resto al Sud 2.0: esempi numerici e trade-off decisionali
Consideriamo un investimento da 200.000 euro. Nel Resto al Sud “classico” servono quattro soci per raggiungere il massimale, ottenendo 100.000 euro a fondo perduto e 100.000 euro di finanziamento garantito, con un profilo di rientro che richiede margini operativi stabili e una pipeline commerciale già visibile. Nel 2.0 lo stesso ticket è accessibile anche a un solo proponente: il contributo al 70% vale 140.000 euro, mentre i restanti 60.000 euro devono essere messi dall’imprenditore, con l’effetto di evitare interessi ma di imporre un cofinanziamento immediato che va pianificato.
Su 120.000 euro, il 2.0 offre fino al 75% (90.000 euro) lasciando 30.000 euro a carico del proponente; nel “classico” la stessa cifra richiederebbe almeno due beneficiari e attiverebbe la componente di credito. Su 100.000 euro con prevalenza di intangibili, l’alternativa potrebbe essere il voucher fino a 40–50 mila euro, ma occorre ricordare che non si somma al grant percentuale: o l’uno o l’altro. In tutti i casi, la decisione deve riflettere età, cassa disponibile, cicli di incasso e velocità di trazione, con un business plan che legga scenari e sensibilità sui principali KPI.
Consulenza Gratuita per definire la rotta
La scelta corretta nasce da un’analisi tecnica del fabbisogno, della curva di ramp-up e della capacità di sostenere il cofinanziamento residuo. Nella Consulenza Gratuita lavoreremo su preventivi realistici, timeline di attivazione, KPI commerciali e fabbisogno di circolante, traducendo la strategia in un piano bancabile con rendicontazione chiara e cronoprogramma per lotti. Metteremo a confronto, con numeri, la rotta “classica” e la rotta 2.0, sapendo che il voucher non si cumula con il grant e che il tetto dei 200.000 euro nel “classico” richiede team adeguato.
Dalla verifica dei requisiti alla presentazione della domanda, presidierò ogni passaggio per ridurre attriti istruttori e accelerare l’ammissione, curando documentazione, governance dei fornitori e opzioni di finanza complementare. L’obiettivo è massimizzare il fondo perduto dove conviene, proteggere la liquidità e raggiungere più velocemente il break-even. Raccontami il progetto, il territorio e i tempi: costruiremo un percorso su misura per presentare una candidatura solida, con percentuali realistiche e un piano di cofinanziamento sostenibile.